La musica da videogioco dovrebbe essere considerata come un proprio genere. Il perché lo spiego subito. Da quando i videogiochi sono stati inventati, io ci gioco. La modalità narrazione/avventura è sempre stato di un coinvolgimento senza pari con altre forme. Il cinema rimane sempre il cinema, ma il videogioco… La sua dinamica di fruizione passiva e attiva contemporaneamente è unica. Il libro ha una funzione attiva solo parzialmente attiva, come vorrebbe la vulgata nel paragone tra prodotto editoriale e televisivo. Anche il libro è passivo (certo meno della tv) ma a cosa si riduce la sua essenza attiva? Nel decidere di andare indietro o avanti nelle pagine? Per questo c’è anche il bottone Forward e Rewind. E’ invece attivo per un elemento in meno: quello visivo. Ognuno immagina quello che vuole. Ma non può essere considerato letteralmente attivo. Attivo è il videogioco! Pur costretto su binari precostituiti (per molti versi lo sono perfino gli open world) il giocatore può andare avanti solo se sono sufficientemente abile, determinando così anche il ritmo rispetto del gioco.
Ma quello che mi interessa oggi analizzare è quanto i videogiochi siano riusciti ad aprire altri percorsi artistici come quelli di nuovi autori musicali. Le colonne sonore dei videogiochi raccolgono una parte degli appassionati e io sono tra questi.
Pionieri sono stati Michael Land (Monkey Island, Clint Bajakian (Outlaws), e Peter McConnell
Austin Wintory, Gareth Coker, Garry Schyman e, per me il nuovo Mozart, Jeremy Soule.
Tutti hanno alcuni elementi caratteristici che vedo solo in loro, a parte ovviamente in parte nei compositori di colonne sonore per film. Parole chiave di questi autori sono: sperimentazione e miscela di generi. La sperimentazione è stata fondamentale. Quando i videogiochi avevano problemi di ottimizzazione dati vista la limitata capacità di calcolo dei computer, i dati sonori non erano certo più problemamitici, ma bisognava risparmiare anche li. E quindi i limiti, i limiti che sfrenano la creatività e danno vita a nuove idee.
Il videogioco costringe il costruttore di architetture musicali di edificare elementi mobili, che accompagnino i movimenti dei giocatori. Mentre la colonna sonora fa riferimento alle immagini che sono immodificabili, in un video gioco la musica deve tener conto dello spostamento del punto di vista del giocatore, stavolta spettatore, attivo. Nella musica, i generi tendono a creare degli schemi molto rigidi. In questa dimensione non è possibile. Qui la musica si riconosce entro un genere ma ne deve essere indipendente, deve poter spostarsi da un campo all’altro.
Il concetto fondamentale della musica dei videogiochi è che non è fatta per le immagini (come per il cinema) o per le semplici orecchie di uno spettatore di concerti. La musica per i videogiochi è creata per un giocatore che si muove fisicamente e che si muove per spostarsi da un luogo a un altro (luoghi veri, solo incidentalmente digitali). Si avvicina più a una musica da teatro, diciamo anche un musical (senza i lustrini). La musica segue l’ascoltatore, non racconta solo l’ambiente in cui si trova o l’azione che è chiamato a rispondere. La musica interpreta ma anche stimola, deve stare un passo avanti e contemporaneamente indietro, è parte attiva del gioco. E’ questo gradino che nessun altro contesto ha e questo fa della musica per videogiochi un unicum. Deve parlare tanti linguaggi perché lo spettatore diventa tanti personaggi, diversi nel tempo e nei luoghi, molti dei quali immaginari, non storici. E’ quindi costretta a miscelare generi e a inventarne di nuovi. Questi autori che ho citato, inoltre, hanno una caratteristica particolare nel segnare tracciati dall’ascendente spirituale. Più si narra di storie concretamente dure, sporche, rudi e più il loro essere diventa trascendentale. Oppure, più le storie sono trascendentali (Journey, Flow ma anche Abzu pur ambientanto nei fondali marini) e più le loro note ci spingono verso una nostra interiorità. Tanto interiori da diventare un nuovo neorealismo: neorealismo musicale. Il vecchio racconto di un quartiere, anzi di un angolo di un quartiere, tanto particolare da fare il giro e diventare universale. Ogni pianeta è paese, ogni profondità, ovunque e quantunque si trovi, è una profondità che ritrovi dentro te stesso.
I mondi che costruiscono questi autori hanno certamente una forte dose di spirito elettronico, ma grazie all’avanzamento tecnologico, l’uso di una vera orchestra (non suoni campionati) è diventato realtà ormai da anni.
I nomi che mi tornano a galla nelle mie orecchie quando sento questi autori sono quelli più rinomati di Wendy Carlos e György Ligeti, due autori visionari e attivi nella composizione di colonne sonore enbrambi collaboratori di Kubrick. Questo dimostra quanto creare musica per videogiochi si debba avere peculiarità non comuni.
Lunga vita alla musica da videogiochi e lunga vita ai videogiochi!