Perché mi è piaciuto Barbie (?)

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Prima di spiegare perché il film Barbie mi è piaciuto, definiamo cos’è un bel film:
la sua visione non deve annoiare, che di questi tempi è diventata cosa molto rara per questa comatosa arte. Paradossalmente la noia ha invaso proprio i film pensati esclusivamente per intrattenere
Le regole della grammatica dell’arte in questione vanno rispettate. Anche questa condizione è stata evasa.
Infine, “the message”: ha qualcosa da dire? Ce ne ha, ce ne ha. Soprattutto in un periodo storico come questo dove imperversano discussioni di genere, concezioni non binarie, acronimi complicatissimi stile LGTblablabla, ideologismi di inclusività e radicalismi linguistici sulle identità di genere con pronomi da usare correttamente. Il film è indifferente a tutto questo di cui gli USA sono pervasi (da qui non se ne sente nemmeno l’eco, va frequentato youtube per rendersene conto) e va per la sua strada.

Grandi incassi = grande qualità?

Ma perché è fatto bene? E perché è un successo? Il film Barbie è rivoluzionario perché scopre che le bambine/ragazze spettatrici non vogliono essere come Barbie. Le bambine/ragazze hanno bisogno di punti di riferimento a cui ispirarsi ma per essere sé stesse, non per copiarne la perfezione. Film brutti di successo ce ne sono stati, ma generalmente mai dagli incassi così esplosivi e comunque hanno sempre risposto a dei bisogni visibili, non sopiti. Barbie invece era a rischio fan service di generazioni che hanno giocato alle bambole. Gli adulti che ricordavano quei momenti e le bambine che vedevano su schermo le dinamiche giocose che create in casa, in modo così da aggiornarle. Tutto questo non è stato. Il film è spiazzante in questo senso. Nessun compromesso, nessun fan service.I due attori sono stati magnifici, mai sopra le righe e in un contesto come questo è certamente risultato molto molto difficile. La Margot esprime tutte le sfumature di una bambola iconica, riuscendoci pur non avendo alcun tipo di riferimento (e dove prenderlo?). Già vedo il giorno in cui annunceranno Barbie The Musical, scelta furbissima e giustissima.

Ebbene sì, sapore di cinema d’avanguardia

Nella prima mezzora ci troviamo sulla soglia dell’avanguardismo. La comunicanza tra i piani del mondo di Barbie vero, cioè quello del gioco e della percezione che le bambine ne hanno avuto, e quello della rappresentazione cinematografica è a livelli di capolavoro assoluto. Il tocco da musical, l’irresistibile finta autocelebrazione (cioè: io Barbie esisto, sono un mito, ma mi prendo gioco del mio stesso mito) e le scenette riprese dalle classiche dinamiche attuate dalle bambine nei decenni in questo gioco sono gagliardissime. Barbie e Ken automi non controllati da nessuna mano seppur seguano schemi evidentemente prestabiliti, hanno la loro ben programmata vita. Tutto questo fino al momento apicale, in cui Barbie si chiede “Avete mai pensato alla morte?”. E’ un colpo di scena inaspettato, magistrale perché gioca su un doppio livello: quello dell’universo bambola e quello dello spettatore ingannato fino a quel momento, abbagliato da un rosa immaginifico.
Questioni filosofiche

Da qui parte il film vero e proprio. Barbie ha inquietudini filosofiche e si trova a dover superare un portale per raggiungere il nostro mondo. Ci si accorgerà che anche il nostro, di mondo, è tratteggiato come una macchietta, fondamentalmente per una questione di armonia. Renderlo realistico avrebbe cambiato il tono del film. Inoltre ha reso più facile focalizzare i punti da trattare: Barbie buona o Barbie cattivo esempio? Barbie “fascista” (sono curioso quale aggettivo usato nell’originale) o democratizzazione dell’universo bellezza? Infatti il film scivola non dando mai risposte, almeno sino alla fine, ma pone domande, una conseguente all’altra in modo da costruire una ragnatela di questioni che troveranno la propria illuminazione nello splendido incontro tra Barbie e la sua creatrice, un’affettuosissimo scambio di visioni e inquietudini su come ognuno di noi (non solo le donne) possa trovare nella società e nella vita in generale. E qui arriviamo al punto se Barbie sia o meno un manifesto femminista, come molti youtuber USA hanno voluto far intendere.

Barbie non è un manifesto femminista
O meglio, lo è ma per ragioni incidentali. I personaggi si dividono in due fazioni e devono confrontarsi e scontrarsi, questo è il presupposto per qualsiasi storia. Seppur si prenda a riferimento la reale situazione disparitaria tra posti di poteri concessi agli uomini e quelli alle donne, il peso è sbilanciato su ciò che ognuno di noi deve fare per affrontare la propria strada. Il femminismo diventa contesto più che energia motrice, questo perché non c’è una vera e propria coscienza che ne muova la trama. Vogliamo affermare che è un manifesto femminista? Ok, affermiamolo. Allora non ho mai visto un manifesto femminista così delicato, così poco radicale ed estremista quanto invece ponderato e ragionato.
Il monologo della madre della ragazzina rischia di sconfinare nell’ideologia, lo ammetto, ma io l’ho vissuto come riaffermazione di una condizione senza meri estremismi.

Noi abbiamo avuto i nostri Rambo, Rocky, financo Terminator, accusati anch’essi di maschilismo, mossa che non ho mai condiviso o capito appieno. Erano machismo puro, no maschilismo. Non erano eroi creati per sottomettere o far soccombere l’altro sesso, erano lì solo per affermare sé stessi, proprio come Barbie, che vuole trovare la propria strada tra dubbi e ostacoli. Sarà pure una sfumatura, ma Barbie è nel pieno del dilemma se essere bambola o umana. Facile trovare qui la metafora della donna oggetto, ma io ho valutato la questione come qualcosa di più grande, più una presa di coscienza tra il rimanere in una comfort zone e fare il grande passo verso la non prevedibilità di una vita da prendere per le redini.
Barbie rappresenta quello che Rambo e Rocky hanno rappresentato per la mia generazione di maschietti. Erano punti di riferimento intanto irraggiungibili. Questa irraggiungibilità faceva parte dell’accordo sottoscritto, non solo perché il mito stesso per definizione non si può raggiungere, ma anche perché noi non volevamo essere proprio così. Noi li ammiravamo ma non bramavamo di raggiungerli. Noi bravavamo la capacità di superare gli ostacoli o raggiungere gli obiettivi come solo loro sapevano fare.

Manifesti maschilisti?

Non sono mai stati dei manifesti maschilisti. Al contrario, i nostri eroi, sui quali comunque provavamo imbarazzo nel momento in cui li ammiravamo, vivono MALGRADO la loro mascolinità. La mascolinità era l’ostacolo da superare: Rocky può raggiungere la propria definizione di persona solo facendo a pugni e correndo sulle scale perché come uomo era obbligato a superare l’essenza di fisicità. Per Rambo è la stessa cosa: tornato dal Vietnam, viene rifiutato con la sola riserva che potrà essere riaccettato solo se riattiverà quegli schemi maschili di sopravvivenza attuati in guerra.
Lo schema è identico a quello del film Barbie. Lei non è bella, è perfetta perché così lo richiede la ditta costruttrice che vuole creare il modello a cui tutte le bambine ambiscono. Lei si rifiuta. Sarà attratta dal mondo dell’imperfezione il cui deux ex machina è uno solo: la morte. Nel suo sviluppo Barbie apre ai dubbi perché solo così si può accedere alle risposte. Incontrerà la sua creatrice in una scena dall’essenziale e simmetrica geometria, riportanedo al film per eccellenza sulla intelligenza artificiale che prende coscienza, dove, da buona madre, non la illuderà ma le indirizzerà solo la strada.

Le due scene, quella della madre della bambina che si ritrova in Barbieland e quella della creatrice, sono molto verbose, questo va ammesso. Ma la mia percezione non è stata di noia quanto quella di una precisa e calibrata volontà a fermare la pellicola e soffermarsi sui punti in questione. Qui il femminismo viene sfiorato se non toccato, ma è sempre il contesto che dà colore ed è l’abilità in cui il tutto è stato preparato a renderlo organico. Vorrei dire che queste due scene molto parlate In qualche modo era prevedibile avvenissero. Il messaggio era: ragazze, qui non stiamo giocando a Barbie, qui stiamo vedendo Rambo o Rocky in salsa rosa, ma il messaggio è lo stesso declinato al femminile. E cioè che per non essere imprigionati in uno schema, prima di tutto va riconosciuto quello schema, poi battersi sul suo stesso campo superando i rischi di cliché e di convenzione, per poi finalmente poter alzare le braccia al cielo e gridare la propria libertà. Era obbligatorio prima giocare a Barbie per poi superarla. Lo stesso Ken, e quindi il maschio col suo patriarcato sulle spalle, è vittima e prigioniero. Non per caso, mentre piange, dice più o meno questo “Tranquilla, ho superato il concetto di maschio che non può piangere”. Il patriarcato come male anche per gli uomini, insomma nessuno schema salva.
In Barbie tutto ciò avviene ed è proprio questo che non è stato capito dai recensori veri e seri, quelli incravattati (a sorpresa proprio i giovani/medio giovani) che hanno paura a macchiarsi la camicia di rosa al banchetto

Esperienza nel cinematografo

Concludo con l’esperienza fisica chiamata sala cinema. Il pubblico era per il 90%femminile di età non superiore ai 22 anni, con una ragazzina proprio accanto che a un certo punto si asciugava le lacrime dagli occhi, tanto era stata coinvolta. Dopo anni segnati da mie sfuriate urlanti con spettatori che chattavano, disturbavano parlando tra loro, ho avuto la fortuna di assistere alla magia della proiezione insieme a un pubblico di una civiltà, una compostezza e un trasporto di cui avevo perso memoria.

Barbie 2

Non ci potrà essere un Barbie 2. Un Barbie 2 non avrebbe nessuna battaglia da combattere o ne combatterebbe una al contrario, assecondando uno o l’altro schema. Perché a quel punto dovrebbe ricostruire qualcosa. Ma non è Barbie che può farlo, così come non poteva farlo Rocky e Rambo, i cui seguiti infiniti hanno cancellato tutto quello che di buono avevano sancito nella loro matrice numero uno. E cioè che da domani sei tu, spettattrice, a dover correre sulle scale o tra i mercati di quartiere per ritrovare te stesso, sei tu, giovane spettatrice, che dovrai liberarti delle catene del patriarcato ma soprattutto delle gabbie della purezza estetica e comportamentale da club delle serate delle donne.

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