“Leonardo quasi non frequentò scuole ed era a stento in grado di leggere il latino o di risolvere lunghe divisioni. Il suo genio era del tipo che riusciamo a comprendere e da cui possiamo perfino trarre insegnamenti. Era basato su abilità che possiamo aspirare a coltivare in noi stessi, come la curiosità e l’osservazione attenta. Leonardo aveva un’immaginazione così eccitabile da rasentare i confini del fantastico e anche questa è una capacità che possiamo cercare di conservare in noi stessi e di assecondare nei nostri bambini.”
Leonardo da Vinci – Walter Isaacson
Ho impiegato anni prima che riuscissero a convincermi di confrontarmi con un gruppo di persone affamate di sapere, che hanno pagato per ricevere questo alimento e che hanno grandi aspettative a riguardo (ops! potevo scrivere semplicemente “…convincermi a tenere corsi”). Soprattutto un corso legato alla creatività, nel mio caso: regia di cortometraggi animati e corsi di scrittura creativa.
Alla fine infatti hanno vinto loro e mi sono lasciato andare a quella che, in seguito, ha superato la definizione di passione per arrivare a quello che è un vero e proprio percorso formativo per me. Per me, non solo per i miei allievi.
Quando tengo un corso per adulti, alla fine di ogni lezione ho la sensazione di essere cambiato, di aver fatto un passo verso una qualche direzione che per me era ancora sconosciuta.
Quando invece ho di fronte a me bambini o ragazzi, che mi seguono con gli occhi, che ogni istante li vedi ansiosi di dire la propria, mi rimetto in pace con l’umanità, ritrovo quella speranza per il futuro che sembra ormai persa ascoltando i commentatori universali. L’umanità, se è quella che esprimono i bambini, ha una grande speranza, un grandioso e luminoso futuro. Questo velo di sentimento rimane adagiato sul mio stato d’animo per giorni e giorni.
Il laboratorio che sto curando presso Scuola Primaria “Neria Secchi” di Bibbiano, insieme alla docente Sandra Violi e alla sua IV° A, è una di quelle esperienze di vita impareggiabili. Utilizzare la metafora del viaggio può risultare banale, ma è proprio così che appare ai miei occhi. Uscito da quella classe, ogni volta il mondo mi appare diverso da come lo avevo lasciato prima di entrare. Magie che si fa fatica a spiegare.
Gli schemi predefiniti di qualsiasi didattica sono fondamentali, sono la spina dorsale di un sapere da trasmettere. Quello che però cerco sempre è di adattare questa struttura al nostro vivere, a quello che vediamo, all’adesso.
Questo laboratorio mi sta dando parecchie soddisfazioni. I ragazzi sono reattivi, creativi e con un entusiasmo da vendere. Si percepisce una voglia che va oltre l’attività ludica. Sono alla ricerca di qualcosa: al di fuori elementi dove riconoscersi, ma anche di analizzare la realtà che li circonda. Dentro di sé cercano sicurezze, conferme ma soprattutto una sfida, sfidare se stessi, mettersi alla prova.
Dopo una serie di sessioni attraverso le quali ho cercato di trasmettere le basi su cui poggiare i propri testi creativi, ho cominciato con qualcosa di più impegnativo e cioè costruire quel castello ideale che è il risultato del procedimento di materializzazione degli universi che ognuno di noi ha dentro. E’ quella necessità di concretizzazione che sentiamo di dover sviluppare ogni volta che proviamo un sentimento (di gioia o di dolore) e che realizza la catarsi che depura da ogni germe di negatività.
Sempre alla ricerca di nuovi giochi, di nuovi test e prove, un giorno mi stavo chiedendo cosa avrei voluto chiedere a un me stesso più adulto se fossi stato ancora bambino. Io sono un appassionato di fantascienza e il tema del viaggio del tempo è tra i più frequentati del genere. Mi sono chiesto se uno schema del genere avesse portato giovamento al progetto. Non ho avuto dubbi e l’ho subito proposto ai ragazzi. Pur partendo da uno spunto fantascientifico, questo gioco/test rispondeva a tutta la sfera di esigenze che un corso deve soddisfare:
- Spinge a un’analisi approfondita di sé, tra aspettative e potenziali rischi nel doverle raggiungere
- Stuzzica la creatività immaginando un orizzonte fantasioso ma credibile
- Domanda e risposta sono, seppur in forma diversa, piccoli piloni di una narrazione che va elaborata, strutturata, curata
- Lo scoprire come va a finire, cioè il modellare il tempo, rappresenta la spinta ludica
Ho detto ai ragazzi di scrivere le domande che avrebbero voluto fare al proprio sé stesso trentenne. Pur avendo esclamato il titolo del test, ho fatto loro scrivere in fase di stallo emozionale. Nessun stimolo emotivo avevo loro prodotto. Era importante che fosse il loro presente a chiedere, non qualcosa di edulcorato. A quel punto ho cominciato a far vedere scene tratte da film della serie La Macchina del Tempo o riprese ricostruite in 3D di ambienti che si evolvono a velocità esagerata. Infine ho proiettato la scena finale di 2001 odissea nello spazio, quella del viaggio verso il satellite Io. Già sotto l’influenza delle immagini e musica d’impatto, ho detto loro di chiudere gli occhi. Ho cominciato a scandire gli anni che passavano…”ora avete 12 anni..ora 15..ora 20…qualcuno di voi è all’università..qualcuno sta guidando…qualcuno è fidanzato qualcuno no….21…22…28…qualcuno è sposato, qualcuno no…ora avete 30 anni. Tenete gli occhi chiusi..alzatevi. Avete trentanni e accanto a voi c’è il vostro io piccolo con una domanda. Leggetela e rispondete. “
Attivata la macchina emotiva, sono partiti nel loro viaggio nel tempo. Tante le risposte interessanti o curiose. Ma tra tutte penso che la domanda più indicativa, più sintomatica sia stata questa: “Sono uno sfigato?”
La domanda ha del commovente. Lui ha capito che non c’è bisogno di chiedere tanti dettagli per avere una visione di massima. Vuole conoscere la vera essenza del destino che gli sarà riservato, lo stato delle cose, il senso del tutto. Non gli interessa essere fortunato o ricco, lui vuole vedersi felice. Che poi è quello che desideriamo anche noi adulti.