Mia figlia di 10 anni ha lasciato in giro per casa questa cartolina con su scritto: “Dear papà dimmi quando ti accorgi di questo biglietto e dimmi proprio <elena, ho visto il biglietto. Oggi è il 27 ottobre dom>.”
Questo piccolo gioco è architettato in modo direi scientifico: le due coordinate fondamentali, tempo e spazio, utilizzate per una sfida e una ricerca: quanto tempo impiegherà mio padre per trovarlo? Passerà proprio lì e non lo leggerà? E se invece lo leggerà, a che distanza temporale avverrà rispetto a quando l’ho scritta?
Al di là della grandissima soddisfazione come persona, prima ancora che come padre, nel vedere la volontà di rielaborare i tanti giochi, test e trappole semantiche con le quali stresso spesso la mia famiglia, c’è una cosa che mi ha colpito. Il fatto che abbia compreso come qualsiasi gioco non può e non deve esistere senza messaggio o utilità. E qui io ci leggo chiaramente quanto segue:
“Caro papà, anche se sei grande grosso e giuggiolone, non perdere mai di vista i particolari, non perdere l’attenzione verso quello che ti sta intorno. Non pensare che la ripetizione di un evento (trovarsi davanti una cartolina con del testo lasciata in giro) sia di conseguenza mera ripetitività.”
Smack!